QUANDO L'AGRICOLTURA INTENSIVA NON È L'UNICO ORIZZONTE POSSIBILE (MA VIENE SPACCIATA COME TALE)

Foto da www.ruralpini.it
Se un tempo c'era chi - con audace dispendio di energie intellettuali - elogiava la follia, oggi ci accontentiamo di molto meno: utilizziamo la stessa audacia per l'elogio dell'agricoltura intensiva. Trovate che abbia meno fascino filosofico? Sbagliate. I politici che in questi giorni tessono le lodi di questo sistema di coltivazione rimandano anch'essi a grandi tradizioni del pensiero. A me, per esempio, l'assessore regionale all'Agricoltura lombardo Gianni Fava, quando parla dell'agricoltura intensiva come di una grandiosa tradizione da difendere, ricorda la sublime tecnica retorica del «rendere migliore il discorso peggiore», concepita nell'antica Grecia nell'ambito di quella corrente filosofica conosciuta come "sofistica". Protagora, però, il padre di queste strategie, assegnava alla retorica una funzione educativa, quella di convincere la maggioranza dei cittadini della validità dell'opinione più funzionale al bene comune. 


La coccinella, noto predatore di parassiti utilizzato
in agricoltura biologica.
Foto da www.eat-ing.net
E Fava? Anche lui vuole persuadere tutti della suprema utilità dell'agricoltura intensiva per il bene comune? No, lui è più abile di Protagora. Lui non intreccia sofisticate argomentazioni, usa un'altra tecnica: quella del parlare di agricoltura intensiva come se tutti già sapessimo che è la nostra più grande risorsa, che i cattivi di Bruxelles vorrebbero scoraggiare per favorire invece l'agricoltura sostenibile, quel mostro crudele che pretenderebbe di incentivare chi predilige pratiche come la rotazione delle colture, la tutela della biodiversità, la riduzione dell'uso di pesticidi e l'utilizzo della lotta biologica ai parassiti delle piante. Tutte cose che evidentemente, per politici come Fava, sono aberranti deviazioni dal modello presente. "Abbiamo un'agricoltura intensiva, che difendo, e non vogliamo averne altre", dice.

Ciò che la Civetta Poetica contesta è proprio questo "non vogliamo averne altre". Consapevole che i post di questo blog non avranno la stessa visibilità delle interviste all'assessore Fava o ad altri politici di spicco che difendono a spada tratta le colture intensive, 
voglio comunque immaginare  una Pianura Padana diversa. 

                      Foto da www.informarexresistere.fr
Immagino una distesa sconfinata che giorno dopo giorno, anno dopo anno, si trasforma. 
Un mosaico immenso i cui frammenti sono terreni coltivati con gocce di veleno che uno dopo l'altro cambiano colore, passando dal grigio ai toni verdi e dorati, a mano a mano che i produttori riducono l'utilizzo dei pesticidi e decidono di lasciarsi affascinare da una sfida molto più intrigante rispetto a quella di una produzione cospicua a basso costo: un'agricoltura che unisce l'esercito guerriero delle moderne tecniche eco-compatibili al patrimonio prezioso di accorgimenti e rimedi naturali ereditati dalla tradizione. La vera tradizione. Non quella a cui si riferisce Fava quando parla di "ciò che sappiamo fare", ma quella che - prima dell'avvento dell'agricoltura intensiva - conosceva, per esempio, l'inestimabile valore della coesistenza di tante colture differenti, non certo una visionaria invenzione green, ma un modo naturale per prevenire la diffusione a macchia d'olio delle malattie delle specie vegetali: dove ci sono solamente patate, il parassita che attacca la patata non potrà che accelerare la sua folle corsa verso la conquista dell'intera coltivazione. Dove invece convive un'allegra combriccola di creature erbacee o arboree, è molto più difficile che l'aggressore si diffonda. 

Da www.terravivaverona.org
Sì, immagino questo. Una Pianura Padana in cui agricoltura e allevamento sono interamente eco-compatibili. Un esempio per il pianeta. Produttori agricoli che leggono sul giornale: "il tema di Expo 2015 è nutrire il pianeta" e improvvisamente hanno un'idea: perché non smettere di allevare mucche che non sanno cosa voglia dire muoversi all'aria aperta? Perché non diventare paladini irriducibili della libertà di razzolare delle galline? Perché non acquistare decine di quelle che vivono in gabbia per poi allevarle all'aperto? Perché, insomma,  non sperimentare alternative che li facciano sentire pionieri del rispetto per il mondo animale, della volontà di offrire al mondo cibo genuino e non antibiotici, della realizzazione concreta di allevamenti che rispettano l'ambiente? Avanguardie del nutrimento vero, artisti dell'allevamento responsabile. Questi, sono gli agricoltori e allevatori del futuro, quelli che sono consapevoli di quanta necessità abbiamo di punti di riferimento diversi, rispetto ad un passato in cui ci è sembrato che inquinare e calpestare natura non portasse conseguenze. 

Foto da www.tittizagaria.com

Non sono un agronomo, ma so che tutte le scienze - compresa dunque l'agronomia - si dirigono verso orizzonti che devono essere prima immaginati e desiderati. E questo orizzonte mi sembra rappresenti una sfida di gran lunga più eccitante rispetto a ciò che propongono certi politici, con tutta probabilità preoccupati più di ingraziarsi alcune associazioni di categoria che di inseguire un'idea evoluta di sviluppo sostenibile, in cui "nutrire il pianeta" (obiettivo dichiarato di Expo 2015) significa adoperare tutta la creatività e la tecnologia che abbiamo per regalare salute - e non veleni - a tutte le creature del pianeta. Questa doveva essere la vera sfida di Expo. E ormai è tardi perché lo sia. Siamo ancora in tempo, però, perché sia la sfida del nostro futuro. Se vogliamo che gli allevatori e gli agricoltori si innamorino della terra fino a riconquistare il rispetto che un tempo avevamo per questa madre generosa, il primo passo è... Agire quando si fa la spesa. La mia amica Gherta, per esempio, qualche giorno fa mi ha detto: "Hey, ma perché non acquistiamo sempre e solo pollo biologico, da oggi?". Approvato all'unanimità, Gherta. Acquistiamo quei pochi prodotti eco-compatibili già presenti sul mercato, ancora meglio se da filiera corta. Altri produttori si aggiungeranno al club degli agricoltori rivoluzionari. E un giorno la vedremo, la Pianura Padana che diventa regno della coltivazione biologica. 
Foto da www.greenme.it

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