UN PETTEGOLEZZO CI SEPPELLIRÀ (SE GLIELO LASCEREMO FARE)

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In questo periodo, la Civetta Poetica sta leggendo un libro che la sta sorprendendo non poco. Un libro che  ha preso tra le mani - ehm, tra le ali -perché ha la fortuna di conoscere personalmente l'autore e di aver tratto non poco giovamento, nel passato lontano e recente, dalla lettura dei suoi scritti. Parentesi: non stupitevi se la Civetta conosce gli autori o le autrici dei libri che legge. É una tipa che quando si entusiasma di fronte a un libro fa l'impossibile per conoscere chi l'ha scritto e poterci conversare almeno una volta. E bisogna ringraziare che gran parte dei suoi scrittori preferiti siano uomini e donne vissuti almeno un secolo prima della sua nascita e perciò già passati a miglior vita: se fossero ancora vivi, vi immaginate quanto sarebbe lungo l'elenco di denunce per stalking? Abbastanza da trasformarla in una civetta in cattività, in qualche carcere di massima sicurezza.
Chiusa la parentesi, veniamo al libro e ai curiosi aneddoti di cui la Civetta è stata protagonista da quando lo sta leggendo. Preciso che sono appena ai primi capitoli, dunque posso parlarvi solamente di ciò che finora ho scoperto. Il titolo è "Urban Survival" (Adea Edizioni) e l'autore si chiama Andrea Di Terlizzi. Il tema? Se in passato avete socializzato almeno un po' con la lingua inglese, avrete anzitutto intuito che ha a che vedere con le strategie di sopravvivenza. Anzi, per utilizzare le parole dell'autore, le "abilità di sopravvivere in ogni situazione". "Abilità" non è un termine casuale. Diventi "abile" in qualcosa se conquisti la capacità di saperlo gestire, in tutte le mutevoli forme che quel qualcosa può assumere presentandosi nella tua vita. C'è però una domanda che di sicuro vi state ponendo. Cosa o chi deve sopravvivere (a parte voi, che siete al momento impegnati a sopravvivere a questo mio post)? La risposta è decisamente olistica: il corpo e lo spirito. Non si tratta di una disciplina che si applica solamente in situazioni di pericolo, ma di un percorso che permette di far affiorare delle risorse interne in grado di darci una percezione più lucida di ciò che siamo e di renderci capaci di sopravvivere a tutte quelle battaglie che senza tregua viviamo a livello mentale ed emotivo nella nostra epoca. Per usare ancora una volta le parole dell'autore, si tratta di "un sopravvivere per comprendere meglio come vivere", ritrovando "una qualità di vita più intensa". 
Se lo leggerete, sono pronta a scommettere che non potrete fare a meno di notare un'affascinante anomalia che lo caratterizza: è un libro con un'impostazione "pratica", per leggerlo devi viverlo, ti offre una visione lucida dei temi e poi subito passa al concreto, alla sperimentazione, agli esercizi in cui cimentarsi nella vita di tutti i giorni. Eppure, nel contempo, trovi, tra le righe, qualcosa che definirei poetico. Un esempio?  Accanto agli esercizi che costellano le pagine del libro e che - lo vedrete tra poco - danno davvero la possibilità di accorgersi di aspetti mai osservati della nostra ordinaria vita mentale, ci sono delle parentesi che, descrivendo la bellezza dei valori più profondi a cui l'umanità potrebbe tendere, fanno comprendere che per viverli nella vita di tutti i giorni è essenziale diventare più forti, essere costantemente in contatto con la parte più vera di noi. Per me, "poesia" è sempre stato "ciò che può essere" e che viene sentito nel profondo prima d'essere raggiunto. Inevitabile dunque trovare che vi sia anche poesia in questo testo. Da quanto tempo non incontravate qualcosa  o qualcuno capace di essere sia pratico e concreto, sia poetico? Non è un'intrigante anomalia, in un mondo come questo?
Passiamo ora a scrivere un piccolo "racconto" della mia iniziale esperienza con questo libro. Parlerò solamente di uno degli innumerevoli esercizi suggeriti nel libro e di come la Civetta Poetica l'abbia vissuto in maniera intensa ma anche piuttosto comica. 
Era una ridente mattina di maggio. La Civetta Poetica si alzò  felice perché sapeva che, dopo una serie di esercizi che l'avevano messa abbastanza alla prova, ne avrebbe iniziato invece uno che, di sicuro, sarebbe stato per lei molto più abbordabile. Per semplificare, dirò che si trattava di non farsi trascinare dalle persone vicine in discorsi di pettegolezzi su altre persone. 
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"Il pettegolezzo l'ho sempre odiato, fa parte dell'insieme di difetti che per fortuna non ho", cantava baldanzosa la Civetta tra sé e sé mentre spiegava le ali verso la propria scrivania in ufficio. "Civetta, vieni a prendere un caffè con noi?". Subito tentata da un gruppo di scanzonati colleghi, la Civetta si avviò fiduciosa verso il distributore di caffè. 
"Santo Cielo", esordì una collega, "hai visto in redazione Anastasia? Legge in maniera tremenda... E perché non è un po' più vitale quando conduce quel programma? Dio santo, è un blocco di ghiaccio!".
"Ehm... Davvero?", domandò la Civetta. 
"Ma certo, non la vedi? Non hai mai visto che gli altri sono più bravi di lei?", incalzò la collega.
"Eh... Forse potrebbe mostrare un po' più di euforia, in quel format... In effetti sembra un po' che dorma", disse la Civetta con lieve imbarazzo.
All'improvviso, si accorse di due cose. Primo, stava spettegolando! Accidenti, proprio la cosa che sapeva bene di non fare mai, lei. Spettegolare! Lei, la poetessa che non indugerebbe mai, in simili profane attività! Secondo, non pensava realmente ciò che aveva detto: imbarazzata per misteriosi motivi, aveva detto la prima cosa verosimile che le fosse capitata a portata di becco. Delusa, decise di ricominciare da capo: l'obiettivo era non farsi trascinare dai civettuoli colleghi. Lei era una Civetta, non una civettuola. Cosa mai c'entrava, con lei, quell'aggettivo? Li avrebbe ignorati tutti, quei becchi sparlanti.
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Qualche ora dopo, si recò nell'ufficio di un'altra collega. "Hai visto quanti dolci mangia l'architetto? Accidenti, s'è fatto fuori  mezza torta di compleanno che Agnese aveva portato". "Hai ragione, chiamiamolo Insulina Man! Ogni volta si trasforma in un avvoltoio di fronte allo zucchero", rispose la Civetta ridacchiando. Poi uscì dalla porta e osservò il riso svanire. "Ma... Chissà perché ogni tanto rido anche per cose che non trovo affatto comiche. E di cosa parlo poi? Cosa mi importa dell'architetto? Che discorsi noiosi... Hey, ma... Non posso crederci! Mi lamento del fatto che siano discorsi noiosi e invece... Mi sono fermata lì a sparlare di uno di cui nulla m'importa! Come è possibile? Io non spettegolo mai...". 
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Così, la Civetta iniziò a evitare ogni persona o gruppo che le desse anche solo vagamente l'idea di poter spettegolare su qualcuno. Alla fine, in un'intera giornata di lavoro, si accorse di aver evitato praticamente tutti. Com'è intelligente la vostra Civetta, eh? Ha preso l'esercizio suggerito dal libro "Urban Survival" e l'ha "leggermente" trasformato: non più la capacità di lasciar cadere nel vuoto i discorsi inutili su questioni futili, ma l'abilità di svignarsela di fronte ai potenziali pettegoli. Non male. 
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Riflessioni? Non ne so fare di profonde, non come quelle che l'autore del libro "Urban Survival" offre tra le sue pagine, ma se ho parlato di questa mia esperienza è perché credo possa aiutare a osservare quanto spesso ce la raccontiamo. E quanto spesso dovremmo trovare il coraggio di non raccontarcela più, di guardare le cose per ciò che sono e... Usare la nostra energia non per tentare di non vederle, ma per trasformarle in qualcosa di più utile e di più bello. Niente balle, "sono una pettegola", questa è la realtà. E perché essere pettegoli è poco utile? Secondo me, per rispondere a questa domanda, bisogna prima chiedersi "perché indugiamo tanto nel pettegolezzo?". Al momento, un abbozzo di risposta sul perché io di tanto in tanto ci sguazzo, me la sono data: è l'imbarazzo del non aver nulla da condividere con la persona che ho


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davanti, l'imbarazzo di non aver nulla da dirle, che porta ad accettare frettolosamente di entrare in qualunque discorso essa proponga, pur di non sentire quello strano "vuoto" del "non aver nulla da dirsi". Ebbene, inizio a sospettare che quel vuoto di parole sia migliore di tante frasi buttate a caso tanto per mostrare simpatia per l'interlocutore. E ho iniziato a sospettarlo solamente dopo aver scoperto di essere anche io, assai spesso, "pettegola". Io, però, senza esercizi come questo, non avrei mai scoperto di esserlo. E non avrei iniziato ad assaporare la bellezza del dire: "Mi tengo questo silenzio che al momento mi imbarazza, quando parlerò, sarà per dire qualcosa che davvero tengo a comunicare all'altro". 
E sono solamente ai primi capitoli del libro. Chissà quante altre scoperte mi attendono. Non ve ne parlerò... Meglio che siate voi stessi a incontrarle, scorrendo le sue pagine. Questi sono solo primi passi, ma è impossibile non sentire un infuocato desiderio di compierne altri, leggendo sulla sovraccoperta queste parole di Andrea Di Terlizzi: "Mai come oggi è indispensabile recuperare gli antichi valori che i cavalieri del passato hanno reso leggendari. Si tratta di qualcosa che deve fluire nel sangue, nella carne e nelle ossa, per renderci capaci di camminare nella vita a testa alta, con la forza di chi ha lo sguardo posato su principi universali, profondi ed eterni". 



Commenti

  1. Finalmente sono riuscita a leggere tutto il tuo blog! Ti ringrazio per il bel momento di lettura e per la conferma che sei una bella persona :) Mai scontata...non banale...poco normale (scherzo!) ma, è questo il bello!!! Ok mi hai convinto accetto di far parte dei tuoi "crociati" e divulgare il civettio! Grazie, un abbraccio Lucia

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  2. Ciao Lucia, il tuo nome fa rima con poesia, dunque non puoi che essere la benvenuta! E' un grande piacere sapere che di tanto in tanto voli tra queste pagine. Un abbraccio e un simpatico canto notturno dalla Civetta Poetica e dalla Creatura Musicale. Ps: saluti dalle cavallette giganti che rallegravano la mia infanzia!

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