QUANDO HAI UN AMICO IN IRAQ (E VUOI TRUCCARGLI IL MAZZO DELLE CARTE)


Quando hai un amico in Iraq,  se ad un'email non arriva risposta, non riesci a non pensare al peggio. Sai che lui è lì, da qualche parte in un immenso deserto disseminato di pericoli, a tentare di proteggere i suoi tre figli e sua moglie, abituato a guardare a quello che noi chiamiamo "domani" un po' come noi guarderemmo alla possibilità di un sei al Superenalotto. Dall'Italia, al sicuro nel mio incantato mondo costellato di città d'arte e ben irrorato di gossip politico, negli ultimi mesi ho cercato di "truccargli il mazzo delle carte". 

Dal sito rudaw.net, integralisti dell'ISIS a Mosul. 
Quella sua condizione, di essere umano fuggito da Mosul con la famiglia per sfuggire all'ISIS, non riuscivo a vederla come un "destino" da accettare. Qualcosa doveva poter essere fatto, per strapparlo ad un luogo in cui rischia la vita ogni giorno. Qualcosa doveva poter essere fatto, per un uomo che ha visto la sua casa bruciata dagli integralisti dell'ISIS perché accusato di aver collaborato con organizzazioni umanitarie occidentali. Qualcosa deve essere fatto, per le prime vittime dei terroristi, che sono quasi sempre i loro stessi connazionali. 
Dal sito geograficamente.wordpress.com
Certo non potevo andarlo a prendere alla frontiera con la Turchia (è ben sigillata da tempo), certo non potevo suggerirgli di affidarsi a bande illegali che trasformano la speranza di una vita lontano dall'orrore in pacchi per contrabbandieri. Potevo, però, chiedere aiuto alle istituzioni del mio Paese o a quegli organismi internazionali che ben conoscono la realtà dei profughi. E l'ho fatto: dopo un mese e mezzo di telefonate e email all'Ambasciata irachena a Roma, all'Ambasciata italiana a Baghdad, ad Amnesty International, al Ministero dell'Interno, alla Caritas, all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati... Finalmente qualche risposta inizia ad arrivare. E proprio ora cosa accade? Che del mio amico iracheno Fadi non ho più notizie da ben nove giorni. 
Dal profilo Facebook di Ali. Profughi in fuga dalle città controllate dall'ISIS
In fuga dopo minacce di morte ricevute dall'ISIS, Fadi si è rifugiato con la famiglia ad Erbil nel mese di giugno. Da allora, ci siamo sentiti quasi tutti i giorni. "È stato orribile", mi scriveva. "I terroristi hanno preso il controllo della città di Mosul, di tutte le zone, erano ovunque. Dappertutto terrorizzavano civili innocenti, punendo chiunque non si mostrasse allineato al loro pensiero. E sono arrivati anche da me. Sono diventato un loro bersaglio, perché cinque anni fa ho lavorato con delle organizzazioni internazionali. Sai, a loro non importa se un ente ha finalità umanitarie, se aiuta i poveri o gli orfani: per gli integralisti, chiunque lavori con le organizzazioni internazionali è una potenziale spia dell'Occidente, un possibile collaboratore di chi agisce per eliminare i militanti dell'estremismo islamico". 
Dal sito www.formiche.net, integralisti dell'ISIS a Mosul
Fadi, però, non è nel mirino dei terroristi solamente per il suo passato di progettista all'interno delle realtà della cooperazione: a infastidire gli integralisti non è solamente ciò che fa, ma soprattutto ciò che lui è. Le voci corrono veloci, a Mosul. Fino a che, all'orecchio degli esponenti dell'ISIS, arriva la sua fama di uomo liberale, amante della conoscenza e appassionato sostenitore della possibilità di un Iraq moderno, aperto alla convivenza armonica tra culture diverse. 
"Il mio pensiero e il modo in cui vivo è assolutamente incompatibile con le idee che gli integralisti portano avanti", mi scriveva. "Io credo nell'umanità, rifiuto senza appello il fanatismo religioso e la violenza verso chi appartiene ad altre religioni o etnie. Credo nella possibilità di costruire uno stato laico, basato sui principi più elevati che l'umanità può esprimere", mi spiegava. Le minacce di morte dei terroristi non tardano ad arrivare. Lungo un sentiero disseminato di pericoli, Fadi e i suoi familiari riescono, per miracolo, a fuggire.


 Nei suoi messaggi, il racconto di una guerra che difficilmente gli articoli di giornale riescono a farti percepire vicina.  Non quelli italiani, che spesso regalano l'apertura delle loro prime pagine alla telenovela insulsa della nostra politica. Si saranno mai domandate, le più influenti direzioni editoriali d'Italia, quanta responsabilità hanno nell'aiutare o distruggere la possibilità che in questo Paese fioriscano cuori e menti di cittadini del mondo? Dubito. C'è chi campa sul nostro provincialismo.  
Io, però, avevo un corrispondente di guerra d'eccezione. Nelle sue parole, ogni giorno, leggevo la paura per il destino delle sue bambine e per la sua compagna: paura di essere raggiunti da quell'oscurità a cui li aveva strappati, la follia degli integralisti dell'ISIS, nemici di tutto ciò che non è legge islamica interpretata in maniera letterale. "Vivo in un mondo pazzo", si confidava. "La nostra vita è continua fuga dalla violenza, eppure devo andare avanti. Devo cercare un luogo in cui i miei figli possano conoscere la pace". Già. I suoi figli non hanno mai visto niente di diverso dalla guerra. 
Sono Fadi e sua moglie Maisa a cercare ogni giorno di descrivere loro ciò che il mondo sarebbe, se l'odio e l'ignoranza non avessero la meglio. Eppure, secondo Fadi, esiste una ragione semplice e chiara che spiega la capacità degli integralisti di far presa sulle persone. "I terroristi giungono spesso dall'esterno del Paese e reclutano uomini disoccupati, che non hanno altre risorse per vivere. Se ci fossero progetti di sviluppo mirati a ridurre la povertà, i terroristi non riuscirebbero più a sfruttare quest'ultima per ottenere adepti". 


Un saggio di De Soto sul legame tra povertà e terrorismo. 
L'ultima volta che ci siamo sentiti era molto preoccupato: il governo iracheno non è in grado di garantire un alloggio all'immenso numero di profughi giunti ad Erbil. Anche la sua famiglia rischiava di perderlo e... Il dramma sarebbe stato dover tornare a Mosul. "Sto cercando un nuovo lavoro qui a Erbil", mi spiegava. 
E ora cos'è accaduto? Perché Fadi non risponde più ai messaggi? Nel caos dell'Iraq, ciò che non era mancato quasi mai fino ad oggi era una connessione Internet che ci permettesse di comunicare. Adesso è sparita anche quella. Il pensiero che l'oscurità da cui fuggono abbia trovato la strada per raggiungerli accompagna le mie giornate intrecciandosi con le mille sfaccettature della vita quotidiana, magari intersecando un sorriso e venandolo di incertezza, oppure intrecciandosi ad una discussione accesa con un'amica e facendone scivolare i caratteri cubitali come fossero foglie che cadono da un albero. Poche cose mantengono importanza, quando sai che un amico potrebbe essere in pericolo di vita, in un luogo che neanche noi evoluti occidentali siamo riusciti ad aiutare. 
Dal sito nonsoloanima.tv
Ispirato dai più elevati ideali di convivenza tra le culture, Fadi vi darebbe l'impressione di un giglio fiorito sull'asfalto, che è riuscito a distillare ossigeno dal veleno che rendeva plumbea l'aria attorno a lui. Perché ne parlo in termini così poetici? Perché la nostra stessa amicizia epistolare è iniziata con la poesia. Per caso, due anni fa, mi ero ritrovata a leggere il suo profilo su Facebook. E, alla voce "orientamento religioso", avevo trovato queste parole: "Pace per tutta l'umanità". Io, che dell'Iraq conoscevo solamente immagini di esplosioni e disperazione, mi sono incuriosita. Ricordo di avergli scritto in inglese e di essermi ritrovata una risposta in italiano. 
Da repubblica.it, i militanti dell'ISIS distruggono il monumento detto
"La tomba della ragazza" a Mosul
"Credimi, ciò che voi vedete nei video su Internet è solamente una piccola parte di ciò che accade in Iraq. Siamo arrivati a non avere neanche la speranza di svegliarci domani", mi scriveva. Eppure, nello stesso tempo, mi raccontava di un altro Iraq, quello che noi non possiamo vedere. Quello coperto dalle vicende della guerra, che giace silenzioso nascondendo ai nostri occhi la sua bellezza. "L'Iraq è un paese di poeti", mi diceva Fadi, suggerendomi di leggere l'epopea di Gilgamesh e sognando di vedere un giorno, nella sua terra, un rinascimento capace di riportare alla luce la vera anima del suo popolo. Osservavo le sue foto, quasi sempre scattate vicino a dei libri. Ascoltavo il suo desiderio di conoscere altre culture, altri modi di vedere il mondo, altre lingue che gli permettessero di comunicare con esseri umani di ogni parte del pianeta. 
La torre di Babele, soppiantata da meravigliosi traduttori automatici

Ah, già, mi sono scordata di dirvelo: tutti i racconti di vita, tutta la poesia del "vero Iraq", tutto il dramma della guerra, tutta la paura durante la fuga da Mosul, tutto il desiderio di portar via la sua famiglia dall'orrore... Tutto questo è passato attraverso un traduttore automatico. Grazie a quest'ultimo Fadi era riuscito a rispondermi in un approssimativo italiano, la prima volta. E, sempre grazie ad esso, abbiamo continuato a conversare per oltre due anni. Le imprecisioni nella traduzione? Ho imparato ad apprezzarle. Mi hanno reso più attenta, mi hanno obbligato a scegliere con intelligenza le parole, ogni volta che scrivevo, cercando di prevedere come il traduttore avrebbe potuto snaturare il senso di una frase. 
Disabituata - da buona occidentale media - a non avere gli amici a portata di What'sApp, sono qui a sperare che Fadi si faccia sentire presto. Sperare di essere ancora in tempo per inserire nel mazzo una carta che possa cambiare le sorti della partita, sperare che le nostre istituzioni decidano di farlo. Se l'istituto dell'asilo politico esiste, è proprio perché persone come Fadi possano essere salvate.   Certo, dopo nove giorni di silenzio, nella mia mente si fanno strada i pensieri più cupi. Ogni tanto mi dico: "Ma sì, c'è stato un black-out, per questo motivo non ci sentiamo". Due minuti dopo si fanno strada le preoccupazioni e sento... Che c'è qualcosa dell'Iraq che è entrato nella mia vita. Non è solamente la bellezza di Fadi e della sua famiglia, ma... La vicinanza della morte. La morte, quella cosa che noi occidentali non vogliamo guardare, ma che nella vita del 90% della popolazione mondiale è... roba di tutti i giorni.
Quella cosa che, quando sai che può arrivare da un momento all'altro, rende prezioso ogni attimo. E questo posso capirlo solamente ora che ho un amico iracheno. Forse, dovremmo averne uno tutti quanti noi. In attesa del momento in cui saremo così saggi da non aver bisogno di avere una persona cara laggiù, per sentire la sofferenza dell'Iraq e per desiderare di trasformarla in luce.

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