ALLA RICERCA DEL DIRITTO D'ASILO PERDUTO. UNA FAMIGLIA IRACHENA IN FUGA DAL TERRORE. E QUELLA LETTERA A MATTEO RENZI RIMASTA SENZA RISPOSTA

I grandi fiumi nel nord dell'Iraq
Dall'ultima volta che la Civetta Poetica ha parlato di Fadi e della sua famiglia sono trascorsi diversi mesi. La ragione di questo silenzio non risiede, tuttavia, in un'assenza di notizie da parte del nostro amico iracheno. Sono stati, invece, mesi costellati di scambi di lettere in cui abbiamo cercato di fare tutto il possibile per raggiungere un obiettivo essenziale: un visto temporaneo che permettesse ad Fadi e alla sua famiglia di lasciare le tormentate rive del fiume Tigri per volgersi verso il nostro Paese. 
L'ultimo post su di lui accennava al viaggio del mio amico e dei suoi familiari verso Baghdad. Un viaggio che non si è mai potuto compiere, per via dei continui combattimenti attorno alla piana di Ninive. Questi scontri, tra le forze governative e quelle che fanno invece capo allo Stato Islamico, rendevano quasi impossibile uno spostamento. Nonostante questo, abbiamo cercato di ottenere un appuntamento all'Ambasciata italiana a Baghdad per la richiesta di visto, sapendo che, se fosse stato ottenuto, si sarebbe dovuto rischiare il tutto per tutto per giungere comunque nella capitale. Come è noto, si può fare richiesta di asilo solamente se già ci si trova sul territorio italiano. Il Visto turistico era dunque l'unica soluzione per consentire loro di giungere in Italia e presentare tale domanda. Tuttavia, proprio quando tutti i documenti erano pronti,  dopo mesi di sforzi, l'Ambasciata italiana mi ha comunicato che il rilascio dei visti turistici era stato interrotto per motivi di sicurezza. 
L'intero Iraq ha iniziato ad apparirmi come una grande, sterminata prigione, dove il profumo di un lontanissimo passato benedetto dai Sufi s'irradia ancora nell'aria, senza tuttavia poter vincere contro la cappa oscura dell'estremismo, aiutata a sua volta da tante forze, non ultima l'inconsapevolezza che negli ultimi decenni abbiamo dimostrato come europei, incapaci di fare della cooperazione allo sviluppo un argine sicuro contro quella povertà che rende gli uomini "coptabili" dal terrorismo. 

Distruzione di luoghi sacri riconducibili a tradizioni Sufi nella regione
 di Niniveh
Non è passato giorno senza che la mia preghiera di vedere la bellezza di quella antica terra di mistici ridestarsi si volgesse verso il cielo, quel cielo che abbraccia tanto noi quanto i suoi tormentati abitanti. Tuttavia, non potevo rassegnarmi. Se il problema era "impedire a possibili terroristi di ottenere visti per l'Italia", doveva esistere un modo per escluderli da tale possibilità di espatrio senza però  negarla agli iracheni che nulla hanno a che vedere con l'estremismo stesso. Un Paese evoluto come il nostro avrebbe dovuto essere capace di porsi questo obiettivo.  

Così, ho deciso di scrivere a Matteo Renzi, sperando  in un miracolo. Qualcuno di voi dirà: "Eri proprio alla frutta, cara Civetta Poetica!". Ebbene sì, lo ero. Tutti i modi per consentire ad Fadi e ai suoi cari di "evadere" da quella prigione di confini erano falliti. E a me non rimaneva che tentare questa carta. Sono passati tre mesi, ma da Matteo Renzi non è giunta alcuna risposta. Voglio però rendervi partecipi pubblicando quella lettera, perché so che molti di voi hanno seguito la vicenda di Fadi. Nei prossimi giorni continuerò ad aggiornarvi, perché proprio in queste ore ho ricevuto delle novità. Sono però notizie di cui non posso ancora scrivere. 


"Illustrissimo Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi,
Le scrivo dopo aver tentato ogni strada possibile per aiutare una famiglia di iracheni perseguitata da quell’entità che conosciamo col nome di ISIS e che rappresenta l’antitesi dei massimi punti di riferimento etici in cui noi crediamo: la libertà, la ricerca della conoscenza, i diritti civili e sociali che abbiamo con fatica conquistato negli ultimi secoli.  


Il “noi” che ho appena scritto, seguito dal verbo “crediamo”, non rappresenta solamente i cittadini del nostro splendido Paese e dell’Unione Europea di cui facciamo parte: è piuttosto un “noi” che abbraccia anche l’immenso numero di esseri umani a cui è toccata la disgraziata condizione di vivere in un paese contaminato dal terrorismo, di qualunque matrice esso sia. 
Le mura di Ninive, in gran parte distrutte dallo Stato Islamico


È vero infatti, come ogni reale conoscitore del mondo musulmano sa, che le prime vittime del terrorismo islamico sono i connazionali dei terroristi stessi, costretti a fronteggiare costantemente chi attenta al loro umano, sacrosanto desiderio di una vita normale, lontana dai fanatismi e il più vicina possibile alla serenità e alla realizzazione di sé.  

Da parte mia, posso testimoniare l’esperienza di un carissimo amico iracheno, Fadi. Fadi viveva fino al giugno del 2014 nel governatorato di Ninive con sua moglie e i suoi bambini. Conosciuto in città per le sue idee liberali e democratiche, Fadi è stato da subito nel mirino dei miliziani dell’ISIS, quando questi ultimi si sono impadroniti della città, all’inizio dell’estate.

Foto dal sito danzasekhem.blogspot.com

Era infatti noto che aveva lavorato fino a poco tempo prima con organizzazioni umanitarie occidentali come: avere un legame con enti che provengono dal mondo degli “infedeli” rappresenta per i terroristi una colpa imperdonabile. 

Fadi è stato minacciato di morte, ma è riuscito a fuggire con la sua famiglia verso Erbil, mentre la sua casa è stata distrutta e data alle fiamme. Qualche mese fa, avuto notizia che il padre era in punto di morte, Fadi affronta il rischio di tornare verso la piana di Ninive con la famiglia, ma vengono fatti prigionieri e interrogati per cinque giorni con metodi durissimi, perché sospettati di essere spie del governo centrale iracheno. Non posso descriverle cosa significhi avere una persona cara in Iraq in questo momento e sapere che in qualunque momento può accadere l’irreparabile.  

Danza sufi 

Quei cinque giorni in cui non ho avuto loro notizie sono stati i più lunghi della mia vita: sapere che, disperse in un paese dominato dall’oscurità più cupa, esistono esseri umani che credono nei più elevati ideali che l’umanità abbia saputo toccare nella sua evoluzione, e che per questo vengono perseguitati, è un dolore a cui non ci si può abituare. Se ci si abitua, significa che si è perso il contatto con lo spirito di quella Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo che nell’ultimo, travagliato secolo siamo comunque riusciti a raggiungere.  Alla fine, per qualcosa di miracoloso, Fadi e la sua famiglia sono stati rilasciati, ma non sono riusciti a ritornare a Erbil, in quanto nel frattempo il confine era stato chiuso per chiunque arrivasse dalla Piana di Ninive. Questa povera famiglia è riuscita a nascondersi presso la casa di alcuni amici, cercando ogni giorno, come migliaia di iracheni, di mantenere viva la speranza al proprio interno, grazie soprattutto agli ideali che con noi condividono, vera e propria luce in nome della quale la bellezza interiore riesce a mantenersi viva anche in mezzo all’oscurità più tetra. Disperati e stanchi di poter offrire ai loro figli solamente l’orrore della guerra, qualche tempo fa, Fadi e sua moglie Maisa mi hanno chiesto di informarli sulle modalità di richiesta di asilo nel nostro Paese. 
Arte islamica



Sapendo che la richiesta può essere inoltrata solamente se ci si trova già in territorio italiano, ho suggerito loro di venire in Italia con visto turistico per un mese, in maniera tale da avere la possibilità di far domanda per ottenere lo status di rifugiato. Con molta fatica, la famiglia di Fadi ed io, abbiamo affrontato tutti i nodi burocratici necessari per avere un colloquio in Ambasciata per la richiesta del Visto. Per alcuni adempimenti, questa famiglia disperata ha dovuto dar fondo ai propri risparmi, dato che non ho un reddito tale da poter dar loro un aiuto economico. E… Vuole sapere cosa è accaduto? Proprio quando i documenti per la richiesta del visto erano pronti, l’Ambasciata italiana mi ha comunicato di aver interrotto il rilascio dei visti turistici, che rappresentavano l’unica possibilità per Fadi di trascorrere un periodo di tranquillità in Italia e poter fare domanda di asilo. 

Signor Presidente, come vede non ci sono solamente perseguitati religiosi, nella triste vicenda dell’avanzata dell’ISIS in Iraq: esiste anche chi è vittima dei terroristi perché instancabile sostenitore di quei punti di riferimento etici di cui parlavo all’inizio di questa lettera, quei valori che sono detti “laici” perché capaci di unire gli esseri umani al di là dell’appartenenza religiosa e ideologica, individuando un orizzonte di diritti civili e sociali che sono l’unica possibile base per un futuro di bellezza e felicità condivise. 

Signor Presidente, conoscendo la Sua sensibilità per questi elevati obiettivi, io Le chiedo se, secondo Lei, può esser considerato normale il fatto che sia così difficile accedere alla protezione che l’Italia, in virtù dei principi fondamentali su cui si fonda, dovrebbe concedere ai cittadini stranieri vittime della barbarie del terrorismo. Fadi e la sua famiglia vivono ancora nascosti nelle zone rurali, sperando con tutte le loro forze in uno sblocco dei visti che permetta loro almeno di trascorrere un periodo nel nostro paese, se non addirittura di ottenere l’asilo politico dopo tanto orrore. Conosco la questione dell’immigrazione e le difficoltà in cui l’Italia si trova a riguardo, ma ciò che l’Iraq vive oggi è una terribile guerra in cui non è neppure detto che non esistano responsabilità occidentali, dato che forse avremmo potuto fare molto di più per favorire lo sviluppo economico nel paese e cancellare quelle sacche di estrema povertà grazie alle quali il terrorismo riesce a trovare terreno fertile, un terreno che altrimenti non troverebbe mai. Possiamo noi rimanere così chiusi di fronte a tanta sofferenza? Possiamo decidere sbrigativamente di interrompere la concessione di visti per breve periodo che rappresentano l’unica chance per trovarsi nella condizione di poter chiedere l’asilo politico? Personalmente, trovo che questo stia al di fuori dello spirito di cooperazione che dichiariamo di incarnare e, ancora di più, al di fuori di quel principio di compassione senza il quale nulla siamo.

Una vignetta del 2004 di Alessio Atrei. Molto attuale.
Disarmata dopo aver visto che è stato inutile affrontare tante difficoltà burocratiche ed economiche per poter presentare una domanda di visto, mi rivolgo a Lei con speranza, augurandomi che la sua sensibilità Le possa permettere di immaginare cosa significhi tremare quando i propri amici, sperduti in un deserto di guerra e desolazione, non rispondono subito al telefono. O quando, leggendo le notizie, scopro che vi sono state rappresaglie o attentati nella zona di Ninive. O quando leggo le lettere commoventi del mio amico Fadi, che con parole di speranza dipinge il nostro Paese come il luogo della rinascita e della libertà, della bellezza e della conoscenza, del trionfo dei diritti umani e del dialogo. Siamo noi degni delle parole di Fadi? Io voglio credere fermamente che lo siamo. E voglio sperare in una sua risposta". 

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