IRAQ, UNA GABBIA COSTRUITA ATTORNO A MOSUL. L'Isis si prepara a utilizzare migliaia di civili come scudi umani



Dokan Air, a Baghdad
Venti febbraio. Una data in cui m'illudevo di poter scrivere tra le pagine di questo blog una bella notizia, accompagnata dalle fotografie dei volti sorridenti di Fadi (nome di fantasia per un personaggio reale) e della sua famiglia. "Fadi è arrivato a Baghdad", avrei potuto dirvi. Non è andata così e sono qui per trasmettervi le testimonianze dirette che anche oggi continuano ad arrivare al mio smartphone  attraverso quest'uomo coraggioso, in pericolo di vita per i suoi ideali elevati.
 Dopo il fallimento di ogni tentativo di ottenere un appuntamento all'Ambasciata italiana per la richiesta di visto, dopo il silenzio di Matteo Renzi e quello dell'Ambasciatore italiano a Baghdad, al quale pure la storia di Fadi era stata fatta pervenire, uno splendido fulmine a ciel sereno ha attraversato qualche settimana fa la vita di Fadi: all'improvviso, arriva una risposta dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che aveva contattato qualche mese fa. Gli viene fatto sapere che ha ottenuto un appuntamento presso l'Ambasciata Usa, per una prima intervista orientata a capire le motivazioni di un eventuale riconoscimento dello status di rifugiato negli Stati Uniti. Una meravigliosa notizia, capace di dissolvere in un attimo l'amarezza per la chiusura completa dimostrata da tutto ciò che ruota attorno all'Ambasciata italiana a Baghdad. 

L'Ambasciata USA a Baghdad
"Non si è riusciti a mettere in salvo Fadi e la sua famiglia in Italia, ma forse saranno gli Stati Uniti a offrire questa protezione", mi dicevo. aveva preso contatto con un autista e mi aveva informata dei pericoli che questo viaggio avrebbe comportato.  "Passeremo attraverso il deserto. Gli autisti che affrontano questo viaggio seguono questo percorso per evitare le zone in cui hanno luogo i combattimenti. Una via rischiosa, ma l'unica possibile", mi scriveva Fadi. Il colloquio in Ambasciata avrebbe dovuto avere luogo il 20 febbraio e il viaggio avrebbe richiesto due o tre giorni. Qualche sera fa, Fadi e sua moglie Maisa, nel piccolo villaggio della provincia di Ninive in cui hanno trovato rifugio, erano in attesa di uno di quegli uomini coraggiosi che sfidano le minacce disseminate sul cammino per continuare a connettere con la loro automobile la parte d'Iraq che l'Isis tenta di trascinare nel buio e quella che ancora contiene il loro avanzare. Un avanzare che assomiglia, nella mia mente, al marciare degli orchi combattuti dai personaggi di Tolkien. Orchi coptati con l'inganno da qualcosa di oscuro, ridotti a esseri che possiedono forza, ma la sanno usare solamente in modo ottuso e miope. L'analogia sembra perfetta.
Foto dal sito www.theguardian.com

Due giorni fa, un triste aggiornamento mi arriva da Fadi. Uscire dalla provincia di Ninive è matematicamente impossibile. L'Isis impedisce alla popolazione di allontanarsi e non c'è stato alcun modo per aggirare i controlli e superare il confine dell'area. Impossibile è anche arrivare a Mosul città e cercare altri possibili autisti per il viaggio: la città è circondata da un recinto di posti di blocco, non si esce e non si entra. 
Indescrivibile il senso di frustrazione: quell'appuntamento all'Ambasciata Usa era una sorta di terno al lotto, l'opportunità era davvero grande. Quanti sogni rubati, quante speranze sfumate, quale rassegnato sguardo si sarà dipinto sui loro volti, quando hanno realizzato di non aver alcun modo per uscire dalla città, di trovarsi ormai dentro la "gabbia" costruita dall'ISIS e non avere chance di insinuarsi in un fortuito passaggio tra le sbarre. Lo sgomento è stato tale che non solo Fadi e Maisa, ma anche i bambini  hanno sentito al loro interno il suono assordante di un SOS che nessuno avrebbe potuto udire e hanno pensato di rivolgerlo verso il cielo, dipingendolo con colori pastello sul tetto della casa, con l'aiuto di qualche loro compagno di giochi. 
Gli scritti di Fadi possono però librarsi in aria e solcare le distanze tra Italia e Iraq. Uno di questi è giunto ieri mattina. Nelle sue parole, l'amara, lucida consapevolezza di essere dentro la morsa di un potere malato, che con tutta probabilità - stando a ciò che i civili esacerbati dicono a Mosul - intende usare la popolazione come ostaggio, come scudo per evitare l'azione internazionale contro le sue oscure fondamenta. Tuttavia, la risposta alla primitiva brutalità dell'Isis si sta destando forte e inizia proprio da quelle realtà in cui la parola "Islam" assume un significato distante anni luce rispetto a quello che alla stessa parola assegnano gli estremisti. Lo dimostra lo splendido intervento online della regina Rania di Giordania donna illuminata, vera perla rara in un mondo in cui il potere quasi mai va di pari passo con la nobiltà interiore di chi lo detiene. 
Rania traccia una linea divisoria netta tra i terroristi e i veri musulmani, sfiora con le sue parole quel concetto di devozione che caratterizza il vero Islam, quell'apertura di cuore che è impossibile associare ai gruppi estremisti caratterizzati solo dal grossolano obiettivo di imporre una fede del tutto esteriore, basata solamente su un'aderenza formale alle regole coraniche. 
Rania di Giordania
Intanto, mentre il discorso di Rania di Giordania viene ascoltato in tutto il mondo, le donne turche scendono in piazza per manifestare la loro indignazione contro l'uccisione efferata di Ozgecan Aslan, la ventenne che è stata picchiata a morte dopo aver cercato di sventare un tentativo di stupro su un autobus. Molte di loro raccontano le storie di abusi subiti sui social network, con l'hashtag  #sendeanlat, "racconta la tua storia". Cosa hanno in comune tutti questi episodi e anche lo stesso intervento militare giordano contro l'Isis? Sono tutte risposte che arrivano dall'interno del mondo musulmano. 
Chi scrive, chi combatte, chi fa sentire la propria voce, chi - come Fadi - rimane integro e in sintonia con i punti di riferimento etici più nobili, anche in mezzo al buio più denso: tutte queste risposte vengono da persone che hanno deciso di difendere apertamente valori universali o che vogliono prendere il coraggio di affermare la bellezza esistente all'interno del mondo musulmano. Sarà questa stessa bellezza, sorgendo e irradiandosi, a dissolvere la forza detenuta fino a questo momento da chi ha preteso di usare l'Islam solo come scusa per sfogare un'ottusa vocazione alla violenza, allo stesso modo in cui, nel nostro Paese, fanno tutti i più vari estremismi. 
Manifestanti "antifascisti" durante il corteo del 24 gennaio 2015 a Cremona
Dai nostalgici della dittatura mussoliniana fino a quei centri sociali di sinistra che, come a Cremona lo scorso 24 gennaio 2015, organizzano manifestazioni "antifasciste" utilizzando, però, nel corso della stessa, tutti i più noti metodi fascisti.

























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